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La Wilkens-Clementi a Casalecchio di Reno
Dai lineamenti storici della manifattura alle punzonature utilizzate nella marcatura degli oggetti d’argento
di Gianni Giancane
Maggio 2020 | |||||||||||||||||
Premessa
Schema cronologico degli eventi, dagli inizi ad oggi
Martin Wilkens (Brema, 10.02.1850 – Hemelingen, 03.01.1937), figlio di Diedrich W. (Brema, 11-10-1811 – Hemelingen, 09.05.1876) e pronipote del fondatore della Wilkens & Söhne, Martin Heinrich Wilkens (Brema, 21.11.1782 – Hemelingen, 08.05.1869), decide di impiantare una fabbrica di argenterie in Italia individuando Bologna (ancor più la città di Casalecchio di Reno) e Michelangelo Clementi quali punti fondamentali del “progetto”: Clementi, perché questi era il rappresentante italiano della ditta tedesca; Bologna, per ragioni territoriali di appartenenza (e residenza) dello stesso e per l’ubicazione geografica della città felsinea, ritenuta di strategica importanza.
Nel gennaio del 1912, a nome della Wilkens & Söhne, l’ingegnere Ettore Lambertini, notifica al Comune di Casalecchio la proposta di realizzazione di un opificio nel territorio comunale adducendo fondanti motivazioni di ordine economico-commerciale che avrebbero apportato benessere e ricchezza futuri alla comunità, ma con la contestuale richiesta della Wilkens di essere esonerata, per un determinato periodo di tempo, da tutta una serie di tributi locali.
Nel febbraio del 1912 il Consiglio Comunale esprime parere favorevole alla proposta tedesca, intravedendo importanti opportunità per la realtà territoriale, ma nel mese di marzo, la Giunta Provinciale di Bologna manifesta tutt’altra idea, trovando punti di forte criticità tanto nel mancato pagamento di tributi (creando in tal modo un pericoloso “precedente”), quanto nella modesta conoscenza delle effettive referenze della W. Il Consiglio di Casalecchio, verso la fine del mese, ritornando in parte sui suoi passi, si orienta verso un parziale, invece che totale, “esonero tributario”, ribadendo comunque gli enormi vantaggi che deriverebbero da un simile impianto, di tipo industriale, il primo in Italia (eliminando pertanto una probabile “concorrenza” vista nella città di Firenze), a sostegno dell’occupazione locale e dei connessi benefici.
L’ingegnere mediatore fornisce al Comune le referenze che, “dubitate” dalla Giunta Provinciale, risultano invece altamente qualificanti, notificando inoltre l’ipotesi di avvio della Wilkens in Italia con un capitale iniziale di 250.000 lire e l’assunzione di una quarantina di operai autoctoni. Il sindaco di Casalecchio, ad informazioni acquisite ed appellandosi ad una vecchia normativa del 1909 in favore dell’installazione sul suolo comunale di nuovi opifici esentati da imposte, notifica il tutto alla Giunta Provinciale che il 27 aprile del 1912 ne prende atto approvando in delibera.
Forte del felice esito della vicenda, il 3 maggio Martin Wilkens esprime al Sindaco di Casalecchio, attraverso una missiva, la sua gratitudine; nel comune bolognese iniziano, susseguendosi per tutto l’anno, i lavori per la realizzazione dell’opificio e già dal 1° dicembre 1912 (come risulterebbe da un documento datato 27 febbraio 1914, di denuncia tardiva) viene avviata l’attività con la denominazione di “Felsinea” Fabbrica Italiana Posate d’Argento di M. H. Wilkens e Figli (dall’originale denominazione della casa madre M. H. Wilkens & Söhne). Il primo operaio ad essere assunto (nota 2), Olindo Cavalieri, viene mandato in Germania per seguire un apposito corso di formazione, mentre nel 1913 arriva a Casalecchio Hans Mantel (Amburgo, 1891 – Casalecchio di Reno, 10.03.1964), quale direttore amministrativo dell’azienda. Intanto, Martin W. sin dall’ottobre del 1912 aveva nominato “mandatari”, il figlio Martin-Heinrich W. (Hemelingen, 26.09.1888 – Brema, 03.06.1966), insieme ai signori Reinhard Kock e Max Carl Ulbricht.
L’avvio delle operazioni belliche segna la svolta significativa per le sorti della manifattura. Infatti il ritorno forzato in Germania dei “vertici direttivi” dell’azienda, induce gli stessi ad individuare nella figura di Michelangelo Clementi il leader, formale e sostanziale, cui affidare l’intera attività gestionale (nota 3). Il passaggio ufficiale si desume da un documento a scrittura privata del 10 maggio 1915 e depositato a posteriori presso la Camera di Commercio il 5 luglio, per quanto sin dal 18 agosto del precedente anno Kock ed Ulbricht avessero già conferito al Clementi “mandato di procura”.
L’anno successivo, in un contesto storico in cui diventa, per altro, vietata qualsiasi attività imprenditoriale ai cittadini tedeschi sul suolo italico, a seguito di accordi segreti tra la parti, Michelangelo Clementi diviene (teoricamente) l’unico proprietario dell’opificio, laddove M. Wilkens (concretamente) garantisce, grazie ad intermediari elvetici, capitali e materie prime. Onde fugare qualsiasi dubbio sulla liceità dell’operazione, la ditta assume il nome di “Fabbrica Argenteria Clementi di Michelangelo Clementi & C.”. Verso la fine del 1916, il 28 novembre, Clementi notifica alla Camera di Commercio le motivazioni che lo “avrebbero portato” ad effettuare una necessaria variazione all’azienda, riconducendole ad esclusiva iniziativa personale, mirante ad accrescere il lustro dell’operatività locale. La fabbrica intanto, nel periodo che va dall’agosto del 1915 alla fine del 1918, per contingenti e comprensibili necessità, affianca alla produzione di argenterie anche quella di materiale bellico, “dischi di ottone per inneschi, modello 912” (Rambaldi, opera cit. pag. 10).
Finita la guerra e in un quadro di sopraggiunta normalizzazione dei rapporti internazionali, Mantel ed Ulbricht, tornati in Italia, riprendono i precedenti ruoli dirigenziali. Dagli inizi del decennio si assiste ad una ripresa significativa della produzione, alcuni operai si muovono all’estero per apprendere nuove tecniche, per quanto proprio tra il 1920 ed il 21 corrono voci di una chiusura della ditta che allarma non poco la comunità di Casalecchio a tal punto da far intervenire il Sindaco. Come mai? Michelangelo Clementi dichiara in effetti chiusa la fabbrica in data 23 novembre 1921 (documento del 05.12.1921), ma solo per una contemporanea sostituzione della vecchia con una nuova azienda, un semplice subentro di persone e capitali.
Nel 1929 Hans Mantel, che insieme ad Ulbricht godeva della “procura” sin dall’atto della costituzione della nuova società nel 1921, diviene Amministratore della ditta mentre si registra un nuovo cambio di proprietà, con Martin Wilkens che formalmente ritorna proprietario (pur essendo rimasto sempre tale nel concreto…). Clementi, pur forte del “legale” atto di acquisizione con l’azienda a lui intestata, si dimostra talmente leale e corretto nei confronti del tedesco, da cedere senza “esitazione alcuna” la ditta, ed in cambio di siffatta lealtà e serietà riceve da Martin Wilkens una partecipazione all’impresa pari al 25% oltre alla conferma della denominazione della fabbrica con il suo nome, la “Fabbrica di Argenteria Michelangelo Clementi & C.”.
Nel frattempo, siamo nel 1930, Mantel, ormai stanziale in Casalecchio, ottiene la cittadinanza italiana cambiando il nome di Hans con Giovanni, episodio questo di non poco conto, anche per gli sviluppi futuri della Clementi. Michelangelo, infatti, tra il 1934 e l’anno successivo si ritira dall’attività ed alla morte, sopraggiunta nel 1937(?), la sua “fetta azionaria” viene rilevata proprio dal Mantel, che a partire da questo momento, diventa la pietra miliare dell’opificio. Nel 1937, il 25 marzo, Mantel e Martin-Heinrich Wilkens fondano la nuova società con il nome di “Fabbrica Argenteria Clementi di Giovanni Mantel & C.” (nota 5), lasciando il nome Clementi in riconoscimento della preziosissima e fondamentale opera da questi svolta per la manifattura germanica sin dal 1912. Inizia contestualmente anche una fase espansionistica in Italia con l’apertura di “filiali” a Milano e Roma. Verso la fine del decennio, tuttavia, gli incipienti eventi bellici inducono Giovanni Mantel a conferire “procura” alla sua segretaria, figura di rilievo nell’azienda, Jole Cuppini.
All’inizio del periodo, siamo nella primavera del 1941, Giovanni Mantel è indotto a far costruire un rifugio sotterraneo, costruzione che egli caldeggia e per la quale sollecita estrema urgenza, onde salvare le maestranze dagli attacchi aerei, e che di fatto viene realizzata (presumibilmente) entro la fine dell’anno. Fino all’aprile del 1944, malgrado gli eventi bellici in essere, il lavoro in fabbrica procede senza grossi problemi restando assicurati i rifornimenti ai molteplici acquirenti sparsi sul territorio nazionale, ma da questo momento in poi i gravi attacchi aerei su Casalecchio, quello del giugno del ’44 e quello ancor più grave di ottobre, non risparmiano la fabbrica che subendo gravissimi danni è costretta a sospendere qualsiasi attività, attività che sarà poi ripresa solo nel novembre del 1945.
Alla fine del 1945 lo stabilimento (o meglio le macerie dello stesso…) viene posto sotto sequestro. Infatti il passaggio della Germania da alleata ad avversaria e gli esiti del conflitto, inducono la Stato italiano a requisire qualsiasi bene dei tedeschi sul suolo italiano e pertanto anche nei confronti di Martin-Heinrich Wilkens viene riservato tale “trattamento”, non così verso Giovanni Mantel, ormai cittadino italiano. Egli pertanto avvia, seppur tra numerose difficoltà legate anche alla contestualizzazione del difficile momento (nota 6), la ricostruzione dell’opificio. Tra la fine del 1947 ed il giugno del ’48 vengono risolti i problemi burocratici, si scioglie la società in atto, Mantel rileva la quota di Martin-Heinrich Wilkens, e nel giugno del 1948, con un capitale iniziale di un milione di lire e conservando rigorosamente la denominazione di “Fabbrica Argenteria Clementi di Giovanni Mantel & C.”, prende corpo la nuova attività.
Gli anni 50 vedono innanzitutto una rimodulazione societaria, la Clementi diventa una S.P.A., con Giovanni Mantel alla presidenza, e Jole Cuppini e Marco Martelli consiglieri (24.04.1951); inoltre si registrano: un ingrandimento delle strutture edilizie, un incremento significativo delle attività produttive, l’aumento del capitale sociale (che in pochi anni arriverà a ben 40 milioni), e l’allargamento significativo dei mercati. Nel 1955, su iniziativa del Presidente, viene bandito un interessante concorso per giovani argentieri i cui esiti inducono Giovanni Mantel a devolvere in beneficenza i premi in denaro previsti, non attribuiti per mancanza del numero minimo dei partecipanti (conditio sine qua non: venti unità concorrenti). |
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Foto 1 -
Alcuni aspetti della fabbrica nei vari periodi storici e di uno dei suoi artefici principali, Giovanni Mantel, che godeva anche del “grado onorifico” di Commendatore |
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1) Partiamo proprio con quest’ultima opera, nella quale gli aspetti stilistico-formali e composito-costruttivi legati a quello storico di provenienza ne rendono un interessante ed importante esempio di manufatti realizzati dall’opificio bolognese. |
Foto 2 - Vito Raeli agli inizi della sua carriera in una foto del 1908 a Roma (Accogli F. - Vito Raeli. Maestri Compositori Pugliesi e altri scritti di musicologia pugliese, Miggiano (LE), Grafiche Salentine, 1990, pag. 19) e dedicata, probabilmente, alla sorella minore Maria, con firma autografa “Vituccio” (interpretando quanto appena leggibile in basso a destra). |
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Foto 3 - Alcuni pezzi rappresentativi del bellissimo servizio “Raeli”. Realizzato per dodici persone, armonioso nelle linee, con prese terminali di forchette e cucchiai tendenzialmente fiddle (a violino) ma meno schematiche, sinuose nei raccordi allo stelo, offre decorazioni affidate ad un’elegante rivisitazione di più articolate linee settecentesche, con sobri motivi fitomorfi a campanule, palmette, foglie acantacee e girali intrecciati, sempre scanditi da rigida simmetria assiale sostenuta da parziale nervatura centrale. In tutti i pezzi un elegante decoro centrale ne esalta la piena espressività. |
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Foto 4 - Il marchio della “Pressa meccanica” introdotto da Martin Wilkens a Casaleggio |
Foto 5 - Il punzone del millesimo, in questo caso 800/1000, a cifre libere |
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Foto 6 - - “Pressa” ed 800 racchiusi in unico riquadro a profilo rettangolare; |
Foto 7 - La voce “Frugoni”, incussa su tutti i pezzi tranne i coltelli, e a destra tre campanule |
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Foto 8 - Il Marchio, o “Segno distintivo di fabbrica” depositato da Michelangelo Clementi il 29.08.1932 come risulta dall’atto n° 46884 registrato in data 26.01.1934 sul “registro generale dei marchi” (fonte dati.acs.beniculturali.it › oad › uodMarchi). |
Foto 9 - Il Marchio, o “Segno distintivo di fabbrica” depositato da Michelangelo Clementi il 22.11.1934 come risulta dall’atto n° 51090 registrato in data 26.01.1934 sul “registro generale dei marchi” (fonte dati.acs.beniculturali.it › oad › uodMarchi). |
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Foto 10 - Forchetta anni trenta, mistilinea nell’espressività, |
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Foto 11- Retro della forchetta con il merco dell’argentiere e punzone 800 in basso a sinistra; losanga e nome del committente (Calderoni) incussi a destra. Il merco, pur non nitido, presenta chiaramente leggibili la lettera M ed il simbolo della “pressa”, mentre la lettera C sembrerebbe “traslocata” quasi una sorta di rototraslazione verso N E dovuta alla battuta, parzialmente sovrapposta del punzone 800. In ogni caso tale battuta avrebbe coperto comunque parte del merco, e quella che sembrerebbe una lettera C, potrebbe anche essere uno zero, quale parte di una seconda battuta (doppia battuta) del punzone del millesimo. |
Foto 12 - Il punzone “fascio”, come viene comunemente chiamato dagli addetti ai lavori. |
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4) L’ultimo manufatto preso in considerazione è un gruppo di tre graziosissimi cucchiaini (foto 13, 14) che ci consentono di aggiungere un ulteriore tassello conoscitivo. |
Foto 13 - Insieme di tre cucchiaini realizzati intorno alla metà del XX secolo. Molto eleganti, affidano la decorazione esclusivamente alla parte della “presa”, nella quale da uno splendido motivo floreale, rifinito con sapiente maestria, si dipartono delicate nervature con riccioli terminali scanditi da tre ordini sovrapposti, quasi ad imprimere, il tutto, forza e slancio verso lo stelo e la conca. |
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Foto 14 - Retro delle posate, con la decorazione affidata esclusivamente alla delicata flessuosità delle nervature ed ai riccioli in corrispondenza della presa; punzonatura al centro dello stelo. |
Foto 15 - Dettaglio dei punzoni presenti. A sinistra il merco della manifattura che rimane quello con M, C, e “pressa”; al centro, quasi in tutt’uno il punzone del millesimo (800/1000), mentre a destra il nuovo punzone “losanga” che, pur conservando uguale profilo geometrico, non presenta più il fascio littorio al centro. |
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Per una più veloce e facile lettura, sono state racchiuse sinotticamente le variazioni nomenclative della Fabbrica negli anni, nonché i merchi e punzoni usati, utilizzando gli stessi che appaiono sugli oggetti inediti pubblicati nel precedente (Particolari punzonature…, opera cit.) e nel presente contributo.
Variazioni nominative della Manifattura nel tempo
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Note Nota 1 Nota 2 Nota 3 Nota 4 Nota 5 Nota 6 Nota 7 Nota 8 Nota 10 Nota 11
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Bibliografia e sitografia essenziali Gazzetta Uff. Regno d’Italia, Serie Speciale, anno 85°, n° 84, Roma 21 Nov. 1944 |
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